Carme in endecasillabi di U. Foscolo, costituito
da 295 versi, concepito e composto nel 1806, pubblicato nel 1807 e dedicato al
poeta e letterato Ippolito Pindemonte, autore di un incompiuto poema dal titolo
I cimiteri. Poco più di un mero spunto occasionale d'ispirazione
fu per Foscolo l'applicazione in Italia dell'editto napoleonico di Saint-Cloud
(1806), il quale sanciva drastiche disposizioni sulle sepolture, limitate ai
cimiteri fuori dai centri abitati, e disponeva che le tombe fossero prive di
distinzioni: il poeta condannò questo provvedimento (dettato in
realtà da esigenze igieniche e sanitarie), scorgendovi il prodotto di una
mentalità materialistica, negatrice delle più profonde ragioni
spirituali dell'uomo. Di fatto, si tratta dell'opera poetica più alta e
dell'espressione più autentica dello spirito di Foscolo, il quale seppe
fondervi, in una sintesi sublime, motivi e temi da lui già svolti in
altre opere, pervenendo tuttavia a una nuova concezione metafisica e poetica,
nella quale convergono affetti familiari e ideali politici, mito classico e
storia patria, fato dell'individuo e destino dell'umanità. I monumenti
funebri, esordisce il poeta (versi 1-40), sono inutili ai trapassati,
giacché nulla dell'uomo sopravvive alla sua morte, ma giovano ai vivi, in
quanto suscitano affetti puri e nobili sentimenti, eredità dei defunti
virtuosi. Solo i malvagi non ne hanno cura, in quanto loro stessi sono
immeritevoli di memoria; pertanto, iniquamente la legge accomuna le sepolture
degli uomini illustri e dei malviventi, degli onesti e degli scellerati:
è ingiusto che le spoglie di G. Parini giacciano in una fossa comune,
insieme a quelle dei criminali giustiziati (41-90). L'usanza dei sepolcri nacque
con il patto sociale e il culto dei defunti si generò in seno alla
virtù domestica e familiare (91-100). Nell'antichità, l'amor di
patria spinse a erigere mausolei agli eroi; più tardi, la superstizione e
la concezione cristiana della morte portarono alle sepolture promiscue nelle
chiese, ben diversamente da come avveniva presso altri popoli (101-136). Le
reliquie degli uomini illustri nobilitano le città che le conservano, e
ispirano i vivi a gloriose imprese (137-154): in Santa Croce a Firenze sono
raccolte le spoglie dei più alti ingegni italiani (N. Machiavelli,
Michelangelo, Galileo), fonte d'ispirazione per V. Alfieri, per il poeta stesso
e per tutti gli Italiani, i quali sono esortati a trarre dalla loro visione
spirito di emulazione e amor di patria, così come le tombe dei caduti a
Maratona rafforzarono nei Greci l'odio nei confronti del barbaro (154-212). Ma
anche i sepolcri che più non esistono, sopraffatti dal tempo che tutto
distrugge, continuano a infiammare l'animo dei generosi, in quanto la memoria
delle virtù degli eroi e delle loro tombe vive immortale nei poeti e
negli scrittori che ne trattarono (213-234). Tale è il caso di Troia,
riscoperta dopo lunghi secoli di oblio: lì un sepolcro protesse il corpo
di Elettra, capostipite dei Dardanidi, da cui ebbero origine Roma e la dinastia
dei Cesari, dominatori del mondo (235-253). E tale vicenda raggiunse
l'immortalità grazie alla poesia di Omero, il vate cieco e mendicante,
che nella sua opera, pur glorificando i vincitori, non fu indifferente ai vinti:
con il suo canto egli placò le anime afflitte dei miseri e con i suoi
versi rese imperituri l'eroe Ettore e il suo sacrificio, il ricordo del quale
durerà “finché il Sole / risplenderà sulle sciagure
umane” (254-295). Il carme, che inizia con una constatazione negativa
circa il destino individuale dell'uomo, termina per contro con l'esaltazione
della poesia, il cui valore e la cui funzione sono quelli di perpetuare la
memoria del passato, quando l'opera distruttrice del tempo abbia avuto ragione
del sepolcro. Nel complesso, la grandezza delle immagini, la forza dei
contrasti, la solennità del ritmo, l'altezza del tono, l'unione di
sublime e intimo, l'armonia dei versi fanno dei
S. uno dei capolavori
della letteratura italiana.